Il campionato 1970-71:
la storica promozione in A

CAMPIONATO 1970-1971 Il campionato della promozione è troppo lapidariamente impresso nella mente dei tifosi, perché si possa pretendere di scriverlo per loro. A loro queste pagine del torneo 1970/71, questi ricordi serviranno per richiamarne altri, legati a questo o a quell'episodio, a questo o a quel giocatore, a questo o a quel duello. Tutte cose di cui vive il calcio ed i suoi appassionati che sono tantissimi in ogni parte d'Italia e che, numerosi nella nostra regione, si spera diventino ora sempre più schiere affollate. Occasione di ricordi, quindi, per chi ha seguito la squadra nel suo più bel torneo e motivo d'orgoglio per quanti, invece, riusciranno a trovare nella rievocazione sintetica e scheletrica, le ragioni di un successo la cui eco durerà a lungo nello sport calabrese e speriamo verrà accresciuta da prestazioni degne di rilievo. Prima di entrare, però, nel vivo del campionato, vorremmo fare un accenno soltanto al clima che da sempre, da quando alla guida del Catanzaro c'è il presidente Nicola Ceravolo, validamente coadiuvato dal segretario Demetrio Lo Giudice, dal medico sociale dottor Martino, da tutti gli altri dirigenti e tecnici, da Sacco, allenatore in seconda, al massaggiatore, Giuseppe Amato, un accenno si diceva, al clima veramente da famiglia meridionale che regna nei locali di via S. Giorgio, dove ha sede l'U.S. Catanzaro. Niente grandi saloni, niente attrezzature e arredamento lussuoso; ambiente semplice fin nelle suppellettili, come semplice è sul piano umano. Il presidente non è "il padrone", inteso nel senso retrivo del termine, né Lo Giudice è la spia. All'uno e all'altro i giocatori si rivolgono, tutti, sempre e da sempre, come a dei familiari. E, per tutti, l'avv. Ceravolo ed il rag. Lo Giudice hanno sempre un sorriso, una parola buona, una battuta ilare che serva a diradare eventuali malumori nostalgie, tanto frequenti in ragazzi che, spesso, si allontanano da casa, dalle famiglie vere, troppo presto e con troppa poca esperienza. Un clima che, del resto, si inquadra perfettamente, nella più generale e popolare propensione della città tutta all'ospitalità fatta di piccole cose, ma sincere, di sorrisi, ma sentiti, di calore umano che affratella ed avvicina. Un clima che, in una società sportiva, anche se professionistica, è la base sulla quale si può costruire quello che Ceravolo ed i suoi hanno dimostrato con l'affermazione che ha posto il capoluogo della Calabria all'attenzione degli sportivi italiani e quindi di tutto il Paese. Ma veniamo al campionato vero e proprio, dopo questa parentesi doverosa ed abbastanza esplicativa, secondo noi, di un successo che né il solo fatto tecnico, pur ragguardevole, né la singola bravura degli atleti avrebbero potuto portare a compimento. Il Catanzaro, nel campionato 1970/71, concluso al secondo posto, a pari merito con Atalanta e Bari, ha vinto 17 incontri, 13 li ha pareggiati e 8 persi. Il dettaglio vede, in casa, 14 vittorie, 4 pareggi e 1 sconfitta (con il Mantova); fuori casa, invece, 3 vittorie, 9 pareggi e 7 sconfitte. Reti fatte 37, subite 27. Media inglese, o primato, - 10, ad un solo punto dalla squadra promossa a conclusione del campionato normale. I primi due pareggi dei tre ottenuti nelle quattro partite raggruppate, possono considerarsi veri e propri colpi di sfortuna. A Mantova i giallorossi, andati in vantaggio in apertura del secondo tempo, si fanno raggiungere stupidamente, a otto minuti dal termine. Col Monza, al comunale, conducono l'incontro sempre in vantaggio, per farsi poi pareggiare la partita a due minuti dalla fine. Battono quindi la Casertana, decretandone la retrocessione in serie C, e pareggiano a Firenze il derby con la Reggina. Il pareggio di Firenze, sembra dover spegnere definitivamente gli ardori promozionali della tifoseria che, però, non disarma, e prepara la spedizione di Livorno in grande stile. Il derby di Firenze con la Reggina, al di là delle considerazioni di carattere socio-politico per la pervicacia con cui da parte di autorità centrali e periferiche si giocò, finché la Lega non revocò la sua prima decisione che aveva autorizzato la disputa della partita nella sua sede naturale di Catanzaro, al di là dell'ancora amara constatazione di uno stato di divisione quasi fratricida tra le due province della stessa regione anche sul terreno sportivo, pure esso inquinato dai fumi delle barricate incendiate dal puzzo dei lacrimogeni militari, comporta considerazioni ben tristi. Camillo Morisciano ed Enzo Rocco, due sportivi, due catanzaresi dei quali forse sarebbe superfluo persino dire l'età e il mestiere, tanto sono cari all'animo di tutti gli abitanti della Città dei Tre Colli, tanto il loro ricordo rimarrà incancellabile negli sportivi che si erano abituati a vederli sempre allo stadio, sostenitori accaniti ma dignitosi dei colori giallorossi. Camillo Morisciano, vicedirettore dell'Ufficio provinciale del Lavoro, 62 anni, fratello dell'ex sindaco di Catanzaro, generale Gregorio. Galantuomo di vecchio stampo, che, nell'espletamento della sua professione, era sempre stato vicino ai lavoratori, superando a volte, per favorirli, le limitazioni di una burocrazia ferruginosa e contorta; sportivo accanito, ma discreto e moderatamente democratico. Enzo Rocco, universitario in Giurisprudenza, 22 anni, orgoglio e vanto del padre, l'assessore comunale avv. Michele e della signora Teresa. Enzo, giovane moderno, ma restio al modernismo ad ogni costo, sportivo sincero e vivace. Il suo fisico costituiva un'attrattiva per le ragazze, ma egli non ne approfittava a dismisura; amante delle auto e delle moto, diceva spesso ai suoi amici che il suo destino - stranissime preveggenze che spesso lasciano perplessi - era di morire sulla strada. Entrambi questi catanzaresi, uniti fra di loro, tornavano con altri parenti, da Firenze, dopo il derby che una politica contorta e bugiarda aveva spostato dalla sua sede calabrese, in Toscana. Scendevano in auto verso la loro Calabria, quando un furioso temporale, in Campania, raggelò la loro gioia trasformando in grumi di sangue, in pianti, in lamenti il loro entusiasmo e disperdendo sull'asfalto, allagato dalla pioggia e colorato di rosso, le emozioni per l'incontro cui avevano assistito, incitando i ragazzi della loro città. Una tristissima pennellata nera, fuligginosa, tristemente luttuosa per due famiglie e per una città. Camillo Morisciano. Enzo rocco. Due nomi che resteranno legati per sempre al ricordo di un'annata felice per lo sport e per le sorti della squadra di Ceravolo, infelice e triste per una Calabria che alle vittime delle barricate e delle bombe, ha aggiunto anche quelle dello sport, in nome di una divisione artefatta, nella quale, a piene mani, hanno pescato i mestatori di mestieri, gli imbroglioni, i falsi populisti. Che l'ingresso nell'aristocrazia del calcio italiano costituisse un evento storico per l'intera vita cittadina e non solo per la comunità dei tifosi, fu testimoniato dalla straordinaria mobilitazione che ne derivò. Conclusi i festeggiamenti per un successo che a molti sembrava ancora un sogno ad occhi aperti (e forse per rassicurare i catanzaresi che non s'era trattato solo di un sogno, l'arco di trionfo innalzato per l'occasione, una grande A giallorossa, rimase a lungo al suo posto), si trattava di fare in modo che Cenerentola si presentasse al ballo in abiti, se non eleganti, quanto meno decenti. Prima di tutto per rispondere alle precise disposizioni della Lega Calcio in materia di strutture e servizi indispensabili; poi per essere all'altezza del ruolo che si profilava ormai per la società, che era quello di vessillifera dell'intero calcio calabrese e non più solo di quello cittadino; e infine "per non fare brutta figura", preoccupazione che non nasceva da un meschino culto per le pompe e le forme esteriori, ma dalla consapevolezza che, giusto o sbagliato che fosse, l'immagine in base alla quale la città, per la prima volta sotto i riflettori del proscenio, sarebbe stata giudicata avrebbe avuto al centro lo stadio di calcio. Ma come riuscire a realizzare in qualche mese un'operazione che avrebbe richiesto anni e anni? Né si trattava del resto solo dello stadio: l'intera città era del tutto impreparata ad affrontare i mille problemi legati alla partecipazione ad un campionato che avrebbe comportato partite con la Juventus, il Milan, l'Inter con conseguente affluenza di decine di migliaia di spettatori dall'intera regione. Problemi infrastrutturali, logistici, organizzativi, oltre che tecnici e finanziari. Eppure, secondo miracolo, dopo quello della promozione, la città ce la fece. Autorità, enti pubblici, operatori economici, semplici cittadini, vincendo tradizionali divisioni, incomprensioni, diffidenze, apatie, ognuno per la sua parte, collaborarono con successo ad un'impresa che ebbe del frenetico. La stessa amministrazione comunale, guidata dal sindaco Francesco Pucci, sorprese i suoi critici dando il meglio di sé in questa occasione e portando a termine con successo il compito di realizzare nel tempo record di settanta giorni la trasformazione del vecchio "Militare" in un moderno stadio, dalla capienza di 25000 posti, con un terreno di gioco che risultò tra i migliori d'Italia, e impianti, servizi, collegamenti telefonici e audiovisivi pienamente all'altezza delle nuove esigenze. Anche l'accesso alla città fu reso più agevole, e il traffico disciplinato in modo da evitare che l'afflusso e il deflusso degli spettatori si risolvessero in giganteschi ingorghi. Alleviato di queste incombenze e preoccupazioni gestionali, il gruppo dirigente poté dedicarsi ai problemi che specificamente gli competevano, i quali rinviavano peraltro tutti alla soluzione di una questione preliminare: occorreva puntare, in considerazione della forte spinta emotiva che veniva dai tifosi, sulla permanenza in Serie "A" come obiettivo da perseguire a qualsiasi costo (e dunque anche a costo di pregiudicare l'avvenire della società), o era preferibile continuare a mettere al primo posto le esigenze del bilancio, perseguendo solo obiettivi con esse compatibili? La scelta cadde sulla seconda ipotesi, non certo per la miopia dei dirigenti, ma per un'oculatezza tanto più lodevole perchè esercitata non certo nel proprio interesse, ma in quello della società (niente di più a buon mercato, infatti, della generosità e della larghezza di vedute a spese altrui), oltre che per la realistica consapevolezza che neanche una politica di finanza allegra avrebbe potuto garantire in modo assoluto la permanenza in "A", come non poche società avevano sperimentato in passato, e altre avrebbero sperimentato in futuro. Si trattava invece di continuare a contare, ancora e sempre, sui propri mezzi e sulle proprie forze, lungo una strada che era poi quella stessa che aveva consentito di raggiungere mete sicuramente insperate. Bisogna dare atto alla tifoseria catanzarese di avere compreso, e di fatto condiviso, nella sua grande maggioranza, le ragioni della scelta, paga come essa certo era, di un successo che nessuno avrebbe potuto ormai cancellare dal palmarès della squadra. Questo non significava, come è ovvio, rassegnarsi passivamente al peggio, ed anzi fu fatto il possibile non solo per rafforzare l'organico, ma anche per adeguarlo al tipo di gioco che sarebbe stato presumibilmente imposto dal nuovo campionato. Furono così concluse al "Gallia" e a Viareggio le cessioni di alcuni giocatori (Marini, Musiello, Bertoletti; Romeo, Barone, DellaPietra) e furono ingaggiati Monticolo, D'Angiulli, Zuccheri, Maldera, Spelta destinati alla prima squadra, oltre che Bretoni, Pavoni, Bassi e Seghezzi, provenienti dalle categorie minori.

STAGIONE CALCISTICA 1970/71:
IL TRIONFO LA PRIMA SERIE A
Presidente Nicola Ceravolo
Allenatore Gianni Seghedoni
Campionato Nazionale Serie B
Classifica finale Secondo posto promozione in Serie A


SPAREGGI

Atalanta - Bari 2-0 (a tavolino)
Atalanta - Catanzaro 1-0

Catanzaro - Bari 1-0