Campionati 1971-73
CAMPIONATI 1971-1973 Ed ecco la rosa dei titolari con la quale il Catanzaro affrontò il suo primo campionato di Serie "A" (1971/72): POZZETTO e BERTONI (portieri) ZUCCHERI, D'ANGIULLI, MALDERA, BENEDETTO, PAVONI, SILIPO (difensori) BUSATTA, BANELLI, FRANZON, BERTUCCIOLI, BASSI, SEGHEZZI (centrocampisti)) GORI, SPELTA, MAMMI', CIANNAMEO, BRACA (attancanti) Il coraggio, la volontà, l'impegno che tutti profusero consentirono di sopperire all'inesperienza e al tasso tecnico non particolarmente elevato, e la matricola portò a termine un apprezzabile campionato che la vide retrocedere solo in conseguenza di un goal mancato per un soffio da uno dei suoi migliori elementi, Spelta, in una partita casalinga decisiva contro il Verona, diretta concorrente nella lotta per la salvezza. Non si trattò affatto di una stagione deludente. Lo testimoniano le vittorie contro avversarie del calibro di Juventus, Sampdoria, Bologna; i pareggi imposti al Cagliari di Riva, alla Roma di Conti e di Pruzzo, al Napoli di Altafini e di Juliano; e le stesse sconfitte di stretta misura contro avversarie ben più titolate. Anche se in apparenza risoltasi in un rapido viaggio di andata e ritorno, la stagione in serie A consentì di tesaurizzare un ricco bagaglio di esperienze preziosissime dal punto di vista psicologico, tecnico, ambientale. Il grande calcio non era più qualcosa di conosciuto solo per sentito dire, o attraverso il filtro non sempre attendibile della stampa, ma realtà vissuta da vicino e direttamente osservata. I mitizzati eroi di squadre dal nome prestigioso erano apparsi non semidei irraggiungibili, ma comuni mortali coi quali era possibile misurarsi alla pari: senza presunzione, ma anche senza timori reverenziali. Ciò che si era potuto costatare che era un giocatore modesto, ma volitivo come Gori poteva imbrigliare e depotenziare la fantasia creativa di Rivera; un debuttante come Zuccheri poteva mettere a tacere il "rombo di tuono" Riva; e un calabrese tenace come Mammì, sorprendere la squadra più blasonata d'Italia. Da sempre vaccinati contro il rischio della presunzione e delle fanfaronate, i catanzaresi maturarono in quella breve stagione la consapevolezza che l'alternativa all'immodestia non è necessariamente da ricercare nella sudditanza psicologica, nella rassegnazione, nei complessi d'inferiorità. C'è un'immagine televisiva alla quale quel campionato rimane legato nei ricordi di molti, che sintetizza il significato d'orgoglio ritrovato che ebbe l'esperienza di quell'anno per tanti calabresi, soprattutto tra quelli lontani dalla loro terra. E' il viso stravolto dalla gioia di Mammì, la sua espressione di indicibile e quasi incredula felicità, mentre insaccato il goal della vittoria nella porta della Juventus dopo una partita condotta allo spasimo, corre con le braccia alzate all'abbraccio dei compagni. Chissà quante volte nei suoi giochi infantili o nei suoi sogni ad occhi aperti il ragazzo Mammì aveva immaginato di segnare un goal alla Juventus. Ma non minore della sua iniziale incredulità fu quella di certa stampa, che non poteva darsi pace per un avvenimento che sembrava inspiegabile: la "vecchia signora" (i tifosi del Torino, veramente, in considerazione della decadenza fisica che caratterizza le vecchie signore, la chiamavano "la gobba") oltraggiata da una giovane parvenu; o, da un altro punto di vista, la squadra degli operai terroni della FIAT che si permetteva di mettere sotto la squadra dei padroni della FIAT! Fu avanzata così l'ipotesi che l'esito della partita fosse stato determinato dalle condizioni del terreno di gioco ridotto ad una risaia, che avevano danneggiato la squadra più tecnica, e che a creare fossero state le pompe deliberatamente azionate per allagare il campo dai diabolici dirigenti della squadra di casa. Era naturalmente una leggenda metropolitana, non poco offensiva, perchè trascurava il particolare non del tutto trascurabile che nel corso della settimana precedente aveva non solo piovuto a lungo, ma diluviato; nè poco ridicola tenendo conto della cronica carenza idrica in una città abituata da decenni ad avere i rubinetti secchi. Ceravolo in un primo tempo smentì indignato; ma in seguito, e sempre più negli anni successivi, quando qualche giornalista gli ricordava l'episodio, si limitava a sorridere in silenzio, con l'aria di vecchio saggio orientale. Aveva capito che in un paese nel quale la furbizia è una dote molto apprezzata, l'episodio suscitava segreta ammirazione. E del resto, nella patria di Machiavelli, chi avrebbe biasimato il ricorso all'astuzia per far fronte all'impari lotta con avversari che avevano della loro parte un'arma più micidiale dell'astuzia, e cioè lo strapotere del capitale? Per quanto serafico, Ceravolo era anche non poco puntiglioso. Negato alle pubbliche relazioni non meno che alla demagogia, non fece grandi proclami di rivincita per non illudere i tifosi assecondandone le spinte irrazionali. Ma un impegno segretamente lo prese, guardandosi bene dal pubblicizzarlo ai quattro venti, un impegno con se stesso: quello di riportare il Catanzaro, la squadra che rappresentava ormai tutti i calabresi, nell'Olimpo del calcio italiano. In silenzio, come sempre, ma non senza un'accurata autocritica, il presidente e i suoi consiglieri danno dunque l'avvio al nuovo corso puntando subito al ritorno in Serie "A". Riconosciuto legittimo il desiderio di Seghedoni di riavvicinarsi alla sua terra, non si oppongono alla sua partenza e lo sostituiscono con Lucchi, un allenatore preceduto da fama di trascinatore, e d'intesa con lui mettono mano ad un'autentica rivoluzione dei quadri tecnici, ingaggiando una serie di giocatori di notevole spessore tecnico-agonistico, quali BANDONI, RIZZO, POTA, PETRINI, BONFANTI, FERRARI. L'organico che ne risulta è unanimemente giudicato di prim'ordine, e all'avvio del campionato la squadra catanzarese viene indicata dalla critica come una delle più autorevoli aspiranti alla vittoria finale. Ma si sa bene che nella vita, e tanto più nel gioco del calcio, "del doman non v'è certezza". La gestione Lucchi fu turbata da incomprensioni, dissapori, incompatibilità di caratteri che non potevano non avere riflessi deleteri nello "spogliatoio" e sullo stesso terreno di gioco; né le cose andarono meglio per quanto riguardava il rapporto con la tifoseria, con la quale anzi si determinò una frattura incolmabile. Alla ventiseiesima giornata Lucchi abbandonò il campo e fu sostituito dall'allenatore in seconda Leotta, indimenticata gloria del calcio catanzarese, che in questa, come in altre occasioni successive, dimostrò la propria capacità guidando abilmente la squadra in acque tranquille, fino a farle concludere il campionato di serie "B" (stagione 1972/73), all'8° posto.

I campionati 1973-77
('76 la seconda promozione in A)


CAMPIONATI 1973-1977 Non che la situazione di malessere determinatasi in precedenza fosse venuta interamente meno; anzi essa si manifestò nuovamente l'anno successivo costringendo un combattente come Seghedoni, nel frattempo richiamato al Catanzaro nella speranza di un secondo miracolo, a dare forfait per i risultati deludenti conseguiti. Lo sostituì un'altra vecchia conoscenza "Carmelo Di Bella"che faticosamente riuscì a condurre la squadra al 13° posto in classifica finale, ben lontano dalle aspettative iniziali e dalle stesse potenzialità tecniche dell'organico. Ma a fine campionato il presidente, che da tempo riflette e discute con i suoi collaboratori sulle ragioni delle difficoltà che continuano a riproporsi, caparbiamente deciso a tener fede all'impegno preso con sè stesso, ha già in mente la soluzione da seguire per venire a capo di quelle difficoltà e dare all'ambiente quella scossa della quale esso aveva bisogno per riacquistare fiducia e slancio. Si traccia di puntare su un allenatore in tutti i sensi nuovo: innanzitutto giovane, e poi dotato di ambizione, amore per il rischio, entusiasmo, comunicativa. Non vecchi tromboni legati al proprio passato e negati al mondo che cambia, ma un tecnico capace di sperimentare strade nuove, motivato, coraggioso. E ancora una volta Ceravolo confermò il proprio fiuto individuando in Gianni Di Marzio, un giovanissimo e poco noto allenatore napoletano cresciuto alla scuola dei Pesaola, dei Vinicio, dei Chiappella, la persona che meglio corrispondeva all'identikit indicato. Approfittando della risoluzione del contratto che legava Di Marzio al Brindisi, dopo un grave incidente automobilistico, Ceravolo lo contatta e, constatato nel corso di un breve scambio di idee in fase di trattativa preliminare di avere davanti l'uomo giusto nel momento giusto, stringe i tempi, perfeziona il contratto e traccia col nuovo assunto un ambizioso piano per l'incipiente campionato. Di Marzio ottiene larga autonomia nella scelta degli uomini, tanto più che l'attenzione da lui rivolta a elementi giovani da valorizzare coincide con la politica sempre seguita dal Catanzaro. Ranieri, Vichi, Nemo, Arbitrio, Papa, Vignando, Palanca incarnano la linea verde che nelle intenzioni del nuovo tecnico dovrà dare vitalità e linfa nuova alla squadra ed alla passione dei tifosi. La giovane età di molti elementi e la loro scarsa esperienza fanno del Catanzaro, secondo i pronostici dei competenti, una delle sicure candidate alla retrocessione. Ma le previsioni non tengono conto di un fattore particolarissimo (oltre che delle grandi qualità di molti dei nuovi arrivati): l'entusiasmo che il tecnico si dimostrerà capace di infondere nei suoi uomini e nello stesso pubblico, che l'ex scugnizzo della riviera di Chiaia riesce a galvanizzare. Questo lo schieramento-base impostato da Di Marzio: PELLIZZARO VICHI SILIPO MALDERA RANIERI ARBITRIO BANELLI VIGNANDO BRACA SPELTA PALANCA Superata la fase di rodaggio, il disegno del tecnico prende corpo senza alcun fenomeno di rigetto. Il biondo Vichi, apparentemente ancora quasi fanciullesco, controlla bene l'area dei sedici metri, protetto in fase difensiva dal gigante buono Maldera, e non disdegnando il via all'azione di attacco. L'eclettico ed ormai esperto, anche se ancora giovane, Silipo, portato sulla destra, è una sicurezza nella zona di sua competenza, da lui autorevolmente presidiata. Ranieri, già ricco di personalità nonostante sia poco più che un ragazzo, è un vigoroso fluidificante sulla fascia sinistra, che sfrutta bene il suo fisico aitante. Arbitrio, Banelli e Vignando, lottatori infaticabili, formano la duttile cerniera del centrocampo. A Braca, antico protagonista di tante epiche battaglie, dotato di acume tattico e chiara visione del gioco, è affidato il compito di regista avanzato e ispiratore degli uomini-goal: l'indomabile esperto e multiforme Spelta e Palanca, astro nascente destinato a grandi imprese, che sono chiamati a finalizzare il gioco anche scambiandosi di posto. Con gli uomini così schierati e responsabilizzati, motivati e psicologicamente assistiti dal giovane allenatore, i giallorossi si avvicinano progressivamente alle favorite, entrano nel gruppo di testa e conquistano infine il diritto di disputarsi, in uno spareggio col Verona, l'ingresso in Serie "A". Terni - la sede fissata per lo spareggio - fu doppiamente fatale. Una banale incertezza difensiva fu pagata a caro prezzo perchè consentì al Verona di segnare il goal col quale si aggiudicò l'incontro (1 - 0) e la promozione alla massima serie. Ma l'amarezza divenne tragedia perchè, sulla via del ritorno, Carlo Tallarico, indimenticabile e fedelissimo sostenitore dei giallorossi, perse la vita in uno scontro fra autobus. Di Marzio e i suoi ragazzi furono ugualmente accolti con riconoscenza in città. La delusione innegabile non poteva, infatti, far dimenticare che una squadra partita senza ambizioni, era arrivata quasi alla soglia della Serie "A", e aveva scritto una delle pagine più importanti della storia del calcio catanzarese. Né sconforto né appagamento: si potrebbe sintetizzare così lo stato d'animo col quale, archiviata la stagione 1974/75, dirigenti e tecnici si dispongono ad affrontare quella successiva con un'unità di intenti che la buona intesa ormai creatasi rende spontanea. Il principale obiettivo perseguito nella campagna acquisti è quello di un adeguato incremento del potenziale offensivo, che viene realizzato ingaggiando Michesi come centravanti d'area e, grazie ai buoni uffici del suo concittadino Di Marzio, il "baronetto" Improta, una classica mezza punta di regia, uomo tatticamente avveduto, che impiegato intelligentemente dal tecnico, diventa la guida e l'ispiratore di Palanca, talento purissimo, ma ancora inespresso. La coppia Improta-Palanca si rivela presto fondamentale nel nuovo assetto tattico della squadra, che compie un autentico salto qualitativo sul piano del rendimento, disputando un magnifico campionato che si conclude con la promozione in Serie "A". Ed Ë giusto ricordare ancora i nomi dei protagonisti del nuovo straordinario successo (1975/76), schierati nella formazione tipo: PELLIZZARO VICHI SILIPO MALDERA RANIERI BANELLI VIGNANDO BRACA IMPROTA MICHESI PALANCA La seconda esperienza nel massimo campionato non finisce meglio della prima. Il Catanzaro non ha alle spalle né munifici mecenati né influenti protettori, non può contare altro che sulla passione sportiva di dirigenti e sostenitori, che gli consente un'esistenza caratterizzata, come sempre, da un'onesta povertà. In queste condizioni non c'è spazio per i lussi, e non ci si può permettere perciò il lusso di sbagliare, che è l'appunto un lusso perchè comporta l'onere di rimediare alle spese rivelatesi errate con nuove spese che non sempre ci si possono consentire. Ma, naturalmente, errare è umano. Costretta a modificare il nevralgico settore centrale della squadra, e a sostituire qualche altro uomo, la società questa volta fallisce gli innesti, o forse avrebbe avuto bisogno semplicemente di più tempo per trovare nuovi assetti: ma la Serie "A" è spietata, e non lascia certo tempo per esperimenti e prove. Il responso del campionato, questa volta, non lascia margini alle recriminazioni: retrocessione. A rendere più complessa la situazione sono le difficoltà conseguenti agli oneri finanziari ai quali occorre far fronte. Nessuna società di calcio naviga in buone acque, ma nel caso del Catanzaro, che non potendo contare sui finanziamenti pubblici e privati (sempre meno disinteressati, per la verità) che soccorrono altre squadre, ha sempre dovuto perseguire una politica d'equilibrio tra costi e ricavi, la difficile congiuntura non è certo da addebitare a follie gestionali, ma a due convergenti elementi negativi. Da un lato gli sforzi per affrontare una serie di stagioni tanto impegnative sempre ad altissimo livello, trattandosi ogni volta o di lottare per rimanere nella massima serie o di lottare per vincere il campionato di Serie "B", avevano comportato spese alle quali non avevano fatto seguito corrispondenti incassi anche a causa degli ultimi risultati deludenti. Dall'altro la galoppante inflazione di quegli anni e il conseguente lievitare dei tassi d'interesse, non potevano non ripercuotersi sui bilanci degli operatori costretti, per forza di cose, a ricorrere in larga misura ad anticipazioni bancarie. Le difficoltà furono tuttavia superate con un aumento del capitale sociale, che passò da poco più di 50 milioni a 300 milioni, un'operazione il cui successo sembrò confermare la fiducia di cui godeva la Società non solo presso i suoi tradizionali sostenitori, ma anche presso qualche operatore economico venuto nell'occasione ad aggiungersi ad essi. Col consenso generale dei soci, Ceravolo fu confermato presidente. Non era lui a detenere la maggioranza delle azioni: ma chi avrebbe potuto metterne in dubbio la leadership? L'ormai abituale andirivieni tra Serie "A" e Serie "B" rendeva quasi obbligato il programma per la nuova stagione, che non poteva non contemplare come obiettivo il ritorno nella massima serie. I problemi da affrontare, veramente, non erano pochi: primo tra tutti, quello legato alla partenza di Di Marzio, chiamato ad allenare il suo Napoli e a realizzare così una comprensibile aspirazione. Inoltre la squadra perdeva due autentici pilastri come Silipo e Vichi, ingaggiati da prestigiose società. Nell'inevitabile rimpasto che ne conseguì furono rimpiazzati da Groppi e da Arrighi; mentre Boccalini e Vignando furono sostituiti da Banelli e da Zanini e Sperotto lasciò il proprio posto alla guida dell'attacco a Renzo Rossi. Il rimescolamento è notevole, la squadra viene rivista in tutti i reparti. Ceduti Silipo e Vichi, rimpiazzati, come abbiamo detto, da Arrighi e Groppi, il reparto difensivo viene ristrutturato nella zona centrale, riportato il longilineo Maldera a libero fisso, per la sua superiore capacità nel gioco aereo e per la maggiore esperienza nel dominio dell'area di rigore ed il roccioso ed efficacissimo Groppi al controllo della prima punta avversaria. Il delicato settore del centrocampo viene rivitalizzato sostituendo lo spento Boccalini ed il "ceduto" Vignando con l'infaticabile e sempre pronto Banelli e con la rivelazione Zanini. L'attacco trova l'uomo ideale per la soluzione dei problemi che avevano portato alla retrocessione nell'anno precedente: Renzo Rossi sostituisce il tanto conclamato, quanto innocuo Sperotto, diventando la seconda bocca di fuoco e la spalla ideale del "divino" Palanca, tanto che, insieme, segnano 28 goals. Non fu cosparsa di rose e fiori, però, la navigazione dell'intera stagione. Il rodaggio più difficoltoso del previsto, incidenti di gioco che tennero i "bomber" lontani dalle competizioni, un'accentuata flessione della squadra a cavallo delle feste natalizie ed un mese a digiuno di risultati, riscaldarono più del dovuto l'ambiente, tanto da spingere un contestato Sereni - allenatore ben preparato tecnicamente, ma schivo e non ferrato alle bufere - a presentare le dimissioni dall'incarico. E come altre volte, all'agitarsi dei marosi, il carismatico nocchiero respinge le dimissioni del "mister", interviene tempestivamente e personalmente per sanare contrasti, incomprensioni, malintesi e con la valida collaborazione di Improta (il capitano), riporta spirito di corpo ed armonia. La squadra reagì, superando il tempo delle nebbie. Ritornarono gioco e risultati, e per i tifosi emozioni indimenticabili. Il risultato fu, per la terza volta, la promozione in serie "A".

I campionati 1977-79
CAMPIONATI 1977-1979 Il nuovo exploit (1977/78) e la tranquillità economica ritrovata con l'aumento di capitale del luglio 1977, danno nuovo slancio a Ceravolo e ai suoi consiglieri, che questa volta non hanno nessuna intenzione di mettere in preventivo un'altra stagione sofferta, puntualmente destinata a concludersi con una retrocessione. Si mira a un campionato senza troppi patemi, puntando a insediarsi in una zona tranquilla della classifica, al riparo dai rischi della lotta per la salvezza. L'obiettivo esige un radicale rafforzamento dell'organico, e prima ancora la rassicurante certezza di poter contare sulla guida ferma ed esperta di un allenatore che sappia il fatto suo. Ancora una volta Ceravolo riesce a trovare l'uomo giusto: Carlo Mazzone, tecnico pragmatico e passionale, autoritario e umano, reattivo e generoso. I due si trovano facilmente d'accordo sul programma, anche perchè il presidente può finalmente contare su una certa disponibilità economica che gli consente di accogliere in pieno le richieste di rinforzi venute da Mazzone. Ne risulta una campagna acquisti una volta tanto ricca di grossi nomi, che porta in maglia giallorossa giocatori affermati come Mattolini (Fiorentina), Manichini (Roma), Saladini e Turone (Milan), Orazi (Pescara), Braglia (Fiorentina). Integrandosi senza difficoltà con quelli della "vecchia guardia" (in realtà, quasi tutti più giovani di loro), per merito di un allenatore che riuscì a creare rapidamente il necessario amalgama, essi s'inserirono senza scompensi in una squadra che pure risultava rinnovata per ben sei undicesimi rispetto all'anno precedente. Questo lo schieramento base: MATTOLINI TURONE SABADINI MENICHINI RANIERI BRAGLIA ORAZI ZANINI IMPROTA ROSSI PALANCA La Coppa Italia andò benissimo: il Catanzaro riuscì ad eliminare con disinvolta autorità squadre come il Milan e il Cagliari, pervenendo alla semifinale con la Juventus, alla quale cedette fuori casa, dopo averla ben controllata nella prima parte della gara. Non meno brillante fu il rendimento nella fase ascendente del campionato, che vide i giallorossi affrontare senza complessi anche avversarie più forti, e bloccare "grandi" che rispondevano ai nomi di Inter, Juve, Fiorentina, Roma, Napoli. Né il girone di ritorno andò peggio: il Catanzaro navigò sempre in acque tranquille, conquistando senza affanno la salvezza; e con essa un nuovo primato: quello della permanenza in Serie "A" per il secondo anno consecutivo. Ma la soddisfazione per la nuova impresa non doveva durare a lungo per Ceravolo. Senza che nessuno lo sospettasse, in un ambiente nel quale, come in ogni ambiente familiare, certe cose non solo non si fanno, ma neppure si pensano, bolliva in pentola o meglio, data la segretezza dell'operazione, covava sotto la cenere, una sorpresa che ebbe l'effetto di una bomba. Di punto in bianco, nel giugno 1979, il gruppo che, dopo l'aumento di capitale, detiene il pacchetto di maggioranza di quella società per azioni che era diventato anche il Catanzaro, in osservanza alla cosiddetta "riforma pasquale", comunica a Ceravolo e a quanti in lui si riconoscono che hanno quarantotto ore di tempo per decidere se rilevare la quota posseduta dalla maggioranza, o lasciare ad esso interamente il campo. All'ultimatum in forma di aut-aut Ceravolo e gli altri soci che con lui costituiscono il gruppo storico dei dirigenti della società, e da sempre ne incarnano la continuità, non possono rispondere altrimenti che togliendo il disturbo. Al posto di Ceravolo si insedia come presidente (non certo, però, come "presidentissimo") il capofila della maggioranza, ADRIANO MERLO, un imprenditore lametino di adozione, che nell'assetto societario conseguente all'aumento di capitale aveva affiancato Ceravolo come vicepresidente. Finiva un'epoca durata non solo vent'anni (quanti erano quelli della presidenza Ceravolo), ma assai di più, perchè con l'epoca di Ceravolo finiva anche quella dei Susanna, dei Talamo, dei Ferrara, e di tutti i dirigenti investiti come tali dalla base esclusivamente in ragione della loro passione sportiva, della loro competenza, del loro attaccamento alla città. Cominciava anche a Catanzaro un'epoca nuova, forse con qualche ritardo, proprio per la presenza di una figura come quella di Ceravolo, che sembrava impensabile poter mettere da parte: l'epoca del calcio come business e della gestione manageriale-aziendalistica dei club sportivi. Era l'inevitabile risultato della trasformazione delle società di calcio in società per azioni, anch'essa del resto divenuta forse inevitabile, per dare regole certe ad un settore che non poteva essere lasciato al pressappochismo, al dilettantismo, all'irrazionalità che vi dominavano in precedenza. Certo, sarebbe insolito aspettarsi che chi investe il proprio denaro in una società, sia pure una società sportiva, non pretenda di gestirla direttamente: tanto più se può ricavarne vantaggi in termini d'immagine, notorietà, visibilità, pubbliche relazioni, eccetera; o anche semplicemente perchè la considera il suo giocattolo e vuole adoperarlo in prima persona per dilettarsi (altrimenti, perchè comprare un giocattolo?). E se altri, i tifosi, credono che quel giocattolo non possa non appartenere anche a loro, solo perchè è stato l'investimento affettivo da loro fatto a creare il giocattolo, o semplicemente perchè sono loro a pagare il biglietto, nella poco sentimentale logica delle società per azioni questi sono discorsi che lasciano il tempo che trovano. Tutto vero, certo. Sta, di fatto, però che per questa via si consegna al capitale qualcosa di più del patrimonio sociale da esso acquistato insieme con le azioni: gli si consegna anche un patrimonio di affetti e di sentimenti, di speranze e di sogni, che fanno parte della vita dei tifosi, i quali così vengono ad essere espropriati di qualcosa che sarebbe difficile non considerare di loro appartenenza. E sta di fatto anche che in questa logica (che è poi la logica del calcio di oggi), a decidere chi debba guidare una società di calcio è esclusivamente la maggiore disponibilità economica. L'individuazione della persona a cui affidare le sorti di quello che una volta si chiamava un sodalizio sportivo ("sodalizio", secondo i dizionari: "s.m. unione di sodali o amici") non ha più neanche le forme esteriori di una libera scelta comune, perchè non può non spettare a chi quel sodalizio riesce a comprarselo. Per tornare a Ceravolo, egli aveva tutto per fare il presidente, salvo i soldi; e invece per fare il presidente era ormai necessario non avere nient'altro che i soldi. L'estromissione di Ceravolo inizialmente colpì i tifosi forse meno di quanto non ci si potesse attendere. Il vecchio presidente non si era mai proposto di riuscire simpatico alla massa degli sportivi, e per accattivarsi il sostegno della tifoseria non aveva fatto mai niente; niente se non, appunto, i fatti. Uomo di poche parole, ruvido per una timidezza che poteva essere scambiata per scontrosità, innegabilmente portato dalla forza delle cose a una gestione paternalistica della società, può anche darsi che ad alcuni la sua uscita di scena sia addirittura parsa qualcosa di simile alla liberazione da una sorta di padre-padrone; salvo poi dover costatare essi stessi che un padre-padrone è pur sempre più vicino e aperto al dialogo di un padrone-padrone. Finiva un'epoca durata non solo vent'anni (quanti erano quelli della presidenza Ceravolo), ma assai di più, perchè con l'epoca di Ceravolo finiva anche quella dei Susanna, dei Talamo, dei Ferrara, e di tutti i dirigenti investiti come tali dalla base esclusivamente in ragione della loro passione sportiva, della loro competenza, del loro attaccamento alla città. Cominciava anche a Catanzaro un'epoca nuova, forse con qualche ritardo, proprio per la presenza di una figura come quella di Ceravolo, che sembrava impensabile poter mettere da parte: l'epoca del calcio come business e della gestione manageriale-aziendalistica dei club sportivi. Era l'inevitabile risultato della trasformazione delle società di calcio in società per azioni, anch'essa del resto divenuta forse inevitabile, per dare regole certe ad un settore che non poteva essere lasciato al pressappochismo, al dilettantismo, all'irrazionalità che vi dominavano in precedenza. Certo, sarebbe insolito aspettarsi che chi investe il proprio denaro in una società, sia pure una società sportiva, non pretenda di gestirla direttamente: tanto più se può ricavarne vantaggi in termini d'immagine, notorietà, visibilità, pubbliche relazioni, eccetera; o anche semplicemente perchè la considera il suo giocattolo e vuole adoperarlo in prima persona per dilettarsi (altrimenti, perchè comprare un giocattolo?). E se altri, i tifosi, credono che quel giocattolo non possa non appartenere anche a loro, solo perchè è stato l'investimento affettivo da loro fatto a creare il giocattolo, o semplicemente perchè sono loro a pagare il biglietto, nella poco sentimentale logica delle società per azioni questi sono discorsi che lasciano il tempo che trovano. Tutto vero, certo. Sta, di fatto, però che per questa via si consegna al capitale qualcosa di più del patrimonio sociale da esso acquistato insieme con le azioni: gli si consegna anche un patrimonio di affetti e di sentimenti, di speranze e di sogni, che fanno parte della vita dei tifosi, i quali così vengono ad essere espropriati di qualcosa che sarebbe difficile non considerare di loro appartenenza. E sta di fatto anche che in questa logica (che è poi la logica del calcio di oggi), a decidere chi debba guidare una società di calcio è esclusivamente la maggiore disponibilità economica. L'individuazione della persona a cui affidare le sorti di quello che una volta si chiamava un sodalizio sportivo ("sodalizio", secondo i dizionari: "s.m. unione di sodali o amici") non ha più neanche le forme esteriori di una libera scelta comune, perchè non può non spettare a chi quel sodalizio riesce a comprarselo. Per tornare a Ceravolo, egli aveva tutto per fare il presidente, salvo i soldi; e invece per fare il presidente era ormai necessario non avere nient'altro che i soldi. L'estromissione di Ceravolo inizialmente colpì i tifosi forse meno di quanto non ci si potesse attendere. Il vecchio presidente non si era mai proposto di riuscire simpatico alla massa degli sportivi, e per accattivarsi il sostegno della tifoseria non aveva fatto mai niente; niente se non, appunto, i fatti. Uomo di poche parole, ruvido per una timidezza che poteva essere scambiata per scontrosità, innegabilmente portato dalla forza delle cose a una gestione paternalistica della società, può anche darsi che ad alcuni la sua uscita di scena sia addirittura parsa qualcosa di simile alla liberazione da una sorta di padre-padrone; salvo poi dover costatare essi stessi che un padre-padrone è pur sempre più vicino e aperto al dialogo di un padrone-padrone. Anche se rimase sempre legato alla sua squadra ed ebbe modo di tornare anni dopo in scena per qualche stagione, nella fase iniziale della gestione Albano, ed anche se, riservato come era, evitò recriminazioni e geremiadi sull'ingratitudine umana, dopo il forzato distacco dalla sua creatura, Ceravolo in realtà non fu più lui. E come poteva essere diversamente se aveva perduto qualcosa che sentiva ormai come una parte di sè? Oggi lo stadio di Catanzaro porta il suo nome, il nome del più grande dirigente che il calcio calabrese abbia avuto. Notissimo a livello nazionale, per vari anni ai vertici federali, stimato come amministratore, organizzatore, talent scout, Ceravolo fu sempre attaccatissimo alla sua terra. Lo commuovevano (come si poteva commuovere lui, cioè senza darlo a vedere a nessuno) i tanti emigrati che immancabilmente affollavano gli stadi del Nord ad ogni partita del Catanzaro, e certo a loro in cuor suo dedicava i successi della squadra, perchè intuiva il particolare significato che essi avevano per loro. Ma il suo attaccamento alla Calabria non fu solo un sentimento orgoglioso, quanto irrazionale. Fu anche il fondamento, in lui e nei suoi più vicini collaboratori, di una visione che era a modo suo un vero e proprio disegno politico inteso ad indicare la possibilità, che era anche una necessità, di andare oltre gli antagonismi di campanile, le guerre tra fratelli poveri, le beghe strapaesane. Il suo Catanzaro non fu solo la squadra che l'intera provincia, compresa la parte non particolarmente attaccata al capoluogo, sentiva propria, ma intese essere, e per un certo periodo fu davvero, la squadra di tutta la Calabria, da Scilla al Pollino, e di tutti i calabresi sparsi per il mondo. Mi piace ricordare in questo senso la scelta - ricambiata - di fratellanza che Ceravolo tenne a fare in un momento in cui quella scelta era tutt'altro che facile, e, appunto per questo, acquistava grandissimo significato. Proprio nel periodo di massima tensione tra quelle che erano allora le tre province calabresi, a poco tempo di distanza dalla furibonda contesa per la scelta del capoluogo scatenatasi in occasione della nascita della Regione e della quasi-guerriglia dei "boia chi molla", Ceravolo lanciò alle città consorelle che si disputavano un'eredità inesistente un autentico messaggio d'amore, scegliendo, come sede di partite da disputare in campo neutro, proprio Cosenza (incontro Catanzaro - Bologna) e Reggio (incontri Catanzaro - Foggia e Catanzaro - Bari), dando prova, contro molti pareri anche tra le autorità istituzionali, di una fiducia nei calabresi di Cosenza e di Reggio, che essi dimostrarono di meritare ampiamente.

STAGIONE CALCISTICA 1971/72
Presidente Nicola Ceravolo
Allenatore Gianni Seghedoni
Campionato Nazionale Serie B
Classifica finale Quindicesimo posto
(retrocessione in Serie B)

STAGIONE CALCISTICA 1973/74
Presidente Nicola Ceravolo
Allenatore Gianni Seghedoni/Carmelo Di Bella
Campionato Nazionale Serie B
Classifica finale Tredicesimo posto

STAGIONE CALCISTICA 1974/75
Presidente Nicola Ceravolo
Allenatore Gianni Di Marzio
Campionato Nazionale Serie B
Classifica finale Quarto Posto


SPAREGGIO

Verona - Catanzaro 1-0


STAGIONE CALCISTICA 1975/76:
SECONDA PROMOZIONE IN A
Presidente Nicola Ceravolo
Allenatore Gianni Di Marzio
Campionato Nazionale Serie B
Classifica finale Terzo posto
(promozione in Serie A)

STAGIONE CALCISTICA 1976/77
Presidente Nicola Ceravolo
Allenatore Gianni Di Marzio
Campionato Nazionale Serie A
Classifica finale Quindicesimo posto
(retrocessione in Serie B)

STAGIONE CALCISTICA 1977/78:Terza promozione in A
Presidente Nicola Ceravolo
Allenatore Giorgio Sereni
Campionato Nazionale Serie B
Classifica finale Secondo posto
(Promozione in Serie A)